Il problema della circolazione dell'immobile donato
E’ sempre molto complicata la vendita di immobili che in passato siano stati oggetto di donazione. Allo stesso modo, le banche che concedono mutui sono assai insofferenti a
ricevere in ipoteca immobili donati: ne è la riprova la sentenza n. 228 del 24 febbraio 2011 del Tribunale di Mantova, con la quale è stata dichiarata la nullità della fideiussione rilasciata alla
banca a garanzia di un mutuo con ipoteca iscritta su un bene oggetto appunto di donazione, perché la fideiussione è stata considerata lesiva del diritto degli stretti familiari del donante a non
subire restrizioni circa il conseguimento della quota di eredità loro spettante nella successione del donante.
La ragione di questi problemi è che gli immobili fatti oggetto di donazione possono essere la ragione di pretese ereditarie da parte degli eredi legittimari del donante, e cioè di coloro che hanno un inalienabile diritto a ricevere una rilevante quota del patrimonio del donante che sia poi defunto (vale a dire, principalmente, il coniuge superstite, i suoi figli e i discendenti dei figli).
Se infatti un legittimario chiama in causa il donatario perché la donazione lede la quota di legittima spettante al legittimario stesso e se il patrimonio del donatario convenuto in giudizio non è sufficiente a soddisfare le ragioni del legittimario (si pensi al caso che l’immobile donato sia stato venduto e poi sia stato scialacquato il denaro ricevuto come prezzo), allora ne può far le spese colui che in quel momento si trova a essere proprietario dell’immobile in questione, anche se egli non c’entri nulla con la famiglia del donante e con la donazione intervenuta in passato e avente a oggetto l’immobile che poi gli è stato venduto: infatti quell’immobile gli può essere chiesto in restituzione, con la quasi certezza che egli non avrà alcun ristoro economico rispetto a questa “spoliazione”.
Il codice civile tratta questa materia essenzialmente negli articoli 561 e 563, che disciplinano appunto la “riduzione” delle donazioni immobiliari lesive della legittima e la “restituzione” degli immobili donati: se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione della donazione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti la restituzione degli immobili in questione, liberi da qualsiasi gravame (ad esempio, da ipoteche); il terzo acquirente può peraltro liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro.
Ora, visto che le donazioni di immobili sono assai frequenti (anche perché il loro costo fiscale è assai contenuto a seguito della detassazione disposta a partire dalla legge 18 ottobre 2001 n. 383) e che quindi non è difficile imbattersi in trattative immobiliari nelle quali un soggetto intende rendersi acquirente di un bene che in passato è stato oggetto di donazione (a favore dell’attuale venditore o anche di un suo precedente dante causa), la pratica professionale deve necessariamente confrontarsi con questo tema, al fine di “tranquillizzare” non solo l’acquirente, ma anche le banche: è quasi matematico infatti che chi compra un immobile si finanzi con un mutuo ipotecario, offrendo in garanzia il bene da acquistare; e quindi, oltre a realizzare condizioni di sicurezza per l’acquirente, occorre garantire anche alla banca che l’ipoteca non è stata iscritta invano, ma ha tenuta sufficiente per fronteggiare il caso dell’ inadempimento del mutuatario.
Uno dei sistemi escogitati nella prassi professionale per “affrancare” gli immobili donati dalla loro condizione di scarsa appetibilità commerciale, e forse il meno sofisticato, è appunto quello della fideiussione, che il Tribunale di Mantova ha cassato.
In sintesi, si tratta della garanzia, offerta dal donante o dai suoi eredi, in sede di vendita dell’immobile donato (o di sua concessione in ipoteca), finalizzata ad assicurare l’acquirente e la banca che, in caso di vittorioso esercizio dell’azione di riduzione da parte degli eredi del donante, costoro si fanno carico del risarcimento (a favore di chi nel frattempo sia divenuto proprietario del bene o del creditore ipotecario) del danno provocato dal fatto che il bene donato viene evitto, e cioè restituito ai legittimari del donante per soddisfare le loro ragioni ereditarie.
In altri termini, gli eredi con ciò avrebbero un disincentivo a impugnare la donazione, in quanto essi poi dovrebbero risponderne verso l’acquirente dell’immobile o verso la banca. Correttamente, il Tribunale di Mantova ha ritenuto che una tale fideiussione viola il principio basilare secondo il quale non possono essere imposti "pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari" (articolo 549 del codice civile). In effetti, con la fideiussione in questione (concessa dal de cuius e poi “ereditata” dai suoi successori) si impone un peso evidentissimo, perché appunto si provoca la responsabilità per evizione del bene donato in capo al legittimario che proponga l’azione di riduzione e poi quella di restituzione.
La ragione di questi problemi è che gli immobili fatti oggetto di donazione possono essere la ragione di pretese ereditarie da parte degli eredi legittimari del donante, e cioè di coloro che hanno un inalienabile diritto a ricevere una rilevante quota del patrimonio del donante che sia poi defunto (vale a dire, principalmente, il coniuge superstite, i suoi figli e i discendenti dei figli).
Se infatti un legittimario chiama in causa il donatario perché la donazione lede la quota di legittima spettante al legittimario stesso e se il patrimonio del donatario convenuto in giudizio non è sufficiente a soddisfare le ragioni del legittimario (si pensi al caso che l’immobile donato sia stato venduto e poi sia stato scialacquato il denaro ricevuto come prezzo), allora ne può far le spese colui che in quel momento si trova a essere proprietario dell’immobile in questione, anche se egli non c’entri nulla con la famiglia del donante e con la donazione intervenuta in passato e avente a oggetto l’immobile che poi gli è stato venduto: infatti quell’immobile gli può essere chiesto in restituzione, con la quasi certezza che egli non avrà alcun ristoro economico rispetto a questa “spoliazione”.
Il codice civile tratta questa materia essenzialmente negli articoli 561 e 563, che disciplinano appunto la “riduzione” delle donazioni immobiliari lesive della legittima e la “restituzione” degli immobili donati: se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione della donazione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti la restituzione degli immobili in questione, liberi da qualsiasi gravame (ad esempio, da ipoteche); il terzo acquirente può peraltro liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro.
Ora, visto che le donazioni di immobili sono assai frequenti (anche perché il loro costo fiscale è assai contenuto a seguito della detassazione disposta a partire dalla legge 18 ottobre 2001 n. 383) e che quindi non è difficile imbattersi in trattative immobiliari nelle quali un soggetto intende rendersi acquirente di un bene che in passato è stato oggetto di donazione (a favore dell’attuale venditore o anche di un suo precedente dante causa), la pratica professionale deve necessariamente confrontarsi con questo tema, al fine di “tranquillizzare” non solo l’acquirente, ma anche le banche: è quasi matematico infatti che chi compra un immobile si finanzi con un mutuo ipotecario, offrendo in garanzia il bene da acquistare; e quindi, oltre a realizzare condizioni di sicurezza per l’acquirente, occorre garantire anche alla banca che l’ipoteca non è stata iscritta invano, ma ha tenuta sufficiente per fronteggiare il caso dell’ inadempimento del mutuatario.
Uno dei sistemi escogitati nella prassi professionale per “affrancare” gli immobili donati dalla loro condizione di scarsa appetibilità commerciale, e forse il meno sofisticato, è appunto quello della fideiussione, che il Tribunale di Mantova ha cassato.
In sintesi, si tratta della garanzia, offerta dal donante o dai suoi eredi, in sede di vendita dell’immobile donato (o di sua concessione in ipoteca), finalizzata ad assicurare l’acquirente e la banca che, in caso di vittorioso esercizio dell’azione di riduzione da parte degli eredi del donante, costoro si fanno carico del risarcimento (a favore di chi nel frattempo sia divenuto proprietario del bene o del creditore ipotecario) del danno provocato dal fatto che il bene donato viene evitto, e cioè restituito ai legittimari del donante per soddisfare le loro ragioni ereditarie.
In altri termini, gli eredi con ciò avrebbero un disincentivo a impugnare la donazione, in quanto essi poi dovrebbero risponderne verso l’acquirente dell’immobile o verso la banca. Correttamente, il Tribunale di Mantova ha ritenuto che una tale fideiussione viola il principio basilare secondo il quale non possono essere imposti "pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari" (articolo 549 del codice civile). In effetti, con la fideiussione in questione (concessa dal de cuius e poi “ereditata” dai suoi successori) si impone un peso evidentissimo, perché appunto si provoca la responsabilità per evizione del bene donato in capo al legittimario che proponga l’azione di riduzione e poi quella di restituzione.